Il mattino seguente, la mia archeologa che si chiamava Cristiana venne a prendermi per portarmi come ho detto a Saida ,la città natale di Rafic Hariri ucciso nel febbraio 2005, per mostrarmi il luogo dove avrei dovuto lavorare per le successive due settimane. Ci vollero 35 minuti per arrivare al parco archeologico di Ecmun, scrivo il nome come lo ricordo, costeggiando il mare e in seguito vari paesini dall'aspetto polveroso come spesso capita in medio oriente. Venni informata che dovevo fotografare degli elementi architettonici scavati in centro città e le riprese sarebbero state effettuate a luce ambiente. Meno male ,pensai io, così non avrei dovuto usare lampade, studiare illuminazioni e complicazioni varie: un click dopo l'altro e via! Le mie illusioni svanirono presto come spiegherò in seguito.
Arrivate in loco trovammo un paio di ragazze della D.G.A che ci portarono verso una specie di capannone a cielo aperto coperto da lamiere e recintato da una rete metallica, ma...... la chiave per entrare non c'era (il funzionario che ce la doveva portare non era venuto) e quindi mi accontentai di guardare ciò che si trovava all'interno e cioè pile e pile di cassette di plastica situate vicino all'ingresso e poi una miriade di meravigliosi capitelli corinzi uno diverso dall'altro , frammenti di colonne e lapidi varie.
Accanto al capannone almeno due container che , mi venne detto, contenevano ceramiche e terrecotte, anche quelle da fotografare.
Io cominciavo a gongolare e pensai: "ma io da qui non me ne vado più, ne avrò per una vita!".
Il capannone era un po' rialzato rispetto al parco archeol
A dire il vero non mi sembrava un granchè a parte un pavimento a mosaico e vari muretti mezzo diroccati; a me piacciono le cose che stanno in piedi e che mi fanno capire così, a prima vista che cosa sono. I muretti che delimitano gli ambienti, le tracce di bruciato che facevano capire che là c'era stato un focolare e cose simili e fanno andare in delirio gli archeologi non mi dicono nulla.
Trovai invece molto interessante , al di là della strada, una coltivazione di banani con tutti i caschi avvolti in sacchi di plastica blu. Gli alberi erano bassi, pensai ad un bananeto di alberi nani, comunque alti o bassi non ne avevo mai visti prima.
Finalmente tornai a Beyrouth e la mia ospite, sposata ad un ingegnere libanese e madre di un bimbo piccolo, arrivate nella hall dell'albergo mi salutò e mi disse che il lunedì mattina sarebbe venuto un autista a prendermi.
E io pensai : O Madonna, fino a lunedì cosa ne sarà di me in questo posto che non conosco, con il mio inglese che tutti capiscono mentre invece io non capisco una mazza di quello che dicono?
Il problema immediato era quello di capire dove avrei mangiato: in albergo o fuori e cosa avrei fatto.
Ma di risorse come vedrete ne avevo.