domenica 15 luglio 2007

Canon ti adoro ( seconda puntata)


Dicevo che la fase preparatoria e organizzativa per la missione consisteva nel radunare tutto il materiale.
Avevamo delle casse tipo militare, in legno, che venivano foderate con pannelli di polistirolo per preservare il materiale fotografico dal caldo. Esternamente con mascherine e spray veniva "scritto" l'indirizzo per l'andata e altrettanto veniva fatto per il ritorno.
Il viaggio, se non ricordo male, avveniva via mare.
A Bagdad dei funzionari dell'Ambasciata italiana curavano il disbrigo delle pratiche doganali e così finalmente dopo parecchio tempo dall'invio tutto il materiale che doveva servire per la Missione, comprese le casse contenenti i nostri effetti personali ,era arrivato a destinazione.
Le missioni a cui ho partecipato vanno dal 1964 al 1975 anno in cui ho smesso perchè avevo "famiglia".
Nella casa della missione (in seguito ne abbiamo avute tre via via che il numero dei partecipanti aumentava) avevo tutto per me un paio di locali attrezzati a camera oscura.Nel primo ,piccolino c'era la "rotativa" uno speciale apparecchio con un grosso cilindro di acciaio che serviva per asciugare le stampe e conferire ad esse l'aspetto lucido.Si mettevano le stampe su un nastro trasportatore di tela, passavano sotto il rullo d'acciaio e poi uscivano aciutte e lucide.
Il guaio era che questa smaltatrice era un modello vecchio che avevamo a Torino ,in Istituto ,ed era di una lentezza abissale, da suicidio. Insomma più che a elettricità andava a criceti morti.
Nella seconda stanzetta che era il vero cuore del gabinetto fotografico c'era un ingranditore due bromografi, per la stampa a contatto delle negative ed un lavandino che ospitava le vaschette per lo sviluppo. Avevamo anche un grosso filtro per l'acqua altrimenti le impurità dell'acqua ,la sabbia (ogni tanto c'erano le tempeste di sabbia) potevano finire sulle pellicole, rovinandole. Per ultimo c'era un armadio essiccatore che adoperavo poco a meno che non avessi fretta per evitare che la polvere ,comunque in circolo ,finisse sulle pellicole.
Una volta sistemato il materiale , la carta e gli sviluppi in scaffali e le pellicole in frigo , potevo cominciare a lavorare.
Il mio lavoro consisteva nello sviluppo e stampa delle foto di scavo e nella ripresa di "tutto" il materiale restaurato e inventariato.
Tre stampe 18x24 cm. per ogni negativo , ognuna delle quali aveva sul retro, scritto a matita e non a biro che poteva macchiare, il numero del raccoglitore e il numero del negativo relativo: una palla pazzesca.
Per gli oggetti dovevo registrare sul raccoglitore il numero d'inventario. Lo sviluppo e le stampe dovevo farle a Torino, al rientro dalla missione , perché le riprese avvenivano verso la fine della missione e il tempo era poco anche solo per sviluppare i negativi .
E poi c'erano le volte ,parecchie, che cavalletto in spalla, e non pesava poco, e valigia metallica della Linhof ( 50 cm. di lato) andavo a fotografare il materiale archeologico presso la Mudiriya Mathaf, la Soprintedenza iraquena, ma questo la prossima volta, se non siete morti di noia.
La foto che ho inserito è del 1968 credo ,eseguita sullo scavo e raffigurante tutti i membri partecipanti alla missione, compresi autisti e personale di servizio, facilmente riconoscibili.
Io non ci sono perchè lavoravo solo a Bagdad.



2 commenti:

Simone ha detto...

Volgiamo la seconda puntata!

Mi piace il racconto, non è assolutamente noioso.

Vale ha detto...

Ho letto tutto ed è molto avvincente! Spiega bene in che cosa consisteva la missione, oltre alla parte fotografica e cioè il suo scopo preciso, così da far capire al 26^ lettore di cosa si tratta.
Molto bello! Mi piace assai, non hai tue foto sullo scavo??