Come dicevo specialmente dopo il 1966 dovetti recarmi alla Mudiryah Mataf per fotografare degli oggetti perchè nel 1965, avendo risposto poco cortesemente a un giovane professore, fui "punita" dal direttore e non andai a Bagdad.
Chi mi sostituì , poco pratico, fotografò tutti gli oggetti della campagna di scavo con una Rollei 6x6, illuminandoli male e a grande distanza . Un orrore!!!
Ci recavamo in Soprintendenza verso le 9 ma prima di poter cominciare a lavorare ci voleva , di solito parecchio tempo. Parecchi giorni prima si doveva presentare la richiesta del permesso di fotografare gli oggetti con il numero di inventario e anno di Missione, attendere la concessione, e una volta ottenuta sperare trovassero i reperti nei loro magazzini che nessuno di noi ha avuto il bene di visitare.
I tempi di attesa erano biblici, i funzionari indolenti e quando portavano qualcosa speravamo che i pezzi fossero quelli richiesti e e non dati col contagocce. E soprattutto non potevamo protestare.
Gli stanzoni in cui ci era concesso di fotografare erano squallidi , le prese di corrente a cui mi dovevo per forza collegare vecchie e poco funzionanti (40 anni dopo erano ancora le stesse).
Io mi mettevo in un angolo con le mie lampade, il cavalletto e spesso usavo la valigia della Linhof per appoggiare un cartoncino che doveva servirmi da sfondo. Usavo delle basette di plexiglass su cui appoggiavo gli oggetti, un pò di plastilina per farli stare in piedi se ce n'era bisogno ,un metrino su cui scrivevo il numero d'inventario che doveva servire per l'identificazione e quindi cominciavo a lavorare come un treno perchè già alle13,30 gli impiegati che avevano fatto poco o nulla tutta la mattina si preparavano ad uscire.
A quel punto bisognava restituire gli oggetti che venivano riportati in magazzino , riporre le macchine, a volte ne avevo due , una per il bianco e nero e l'altra per le diapositive , e tornare alla casa della missione dove passavo il pomeriggio a sviluppare, stampare, a volte a sviluppare le diapositive. A volte mi sento eroica per tutto quello che riuscivo a fare.
In pratica , per quanto riguarda la ripresa non è cambiato nulla.
Se sono all'estero mi devo adattare alle condizioni "ambientali" che trovo : locali, prese di corrente , tavolini su cui appoggiare i fondali bianchi o colorati,che sono a elle e devono fungere da sfondo e piano di appoggio per gli oggetti, piazzare le lampade , cavalletto ecc.
L'importante è per me produrre del lavoro pubblicabile subito senza bisogno di ritocchi (photoshop per me è ancora un mistero) e fotografare l'oggetto da più punti di vista se è particolarmente bello o interessante o se mi ispira particolarmente . Spesso mi lascio prendere la mano e di riprese ne faccio veramente tante per la gioia dell'archeologo che se lo può studiare da tutti i punti di vista.
E soprattutto la cosa MAGNIFICA è che il mio lavoro finisce lì : non devo stampare , non devo fare diapositive devo solo scaricare su un PC (adoro anche quello) e consegnare il cd.
La prossima volta parlerò ancora di Bagdad e del mio lavoro presso l'istituto di Archeologia di Torino e quella è un'altra storia.
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2 commenti:
Sta diventando un vero e proprio corso di fotografia il tuo!! Sono molto interessata e mi piace come racconti! Grande mamma. Continua così
Old shoe devi comprarti una reflex digitale e aprirti un account su flikr
( http://www.flickr.com - sito di foto) e poi chi ti ferma più?
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