Ebbene per il Centro Scavi di Torino l'effetto immediato fu che il sogno vagheggiato di ricominciare gli scavi a Tell Omar rimanesse tale.
Mi dissero che alla fine di quell'anno una missione di studio andò comunque in Irak per lo studio, appunto, e la catalogazione delle ceramiche e che queste, una volta studiate, catalogate e custodite nella memoria dei computers vennero poi sepolte in una buca sullo scavo e sopra essa fu fatto passare un trattore. I funzionari della soprintendenza iraquena non le volevano nei loro magazzini.
Nel 2002 fu organizzata una seconda missione di studio.
Ricordo ancora la riunione che si fece in Dipartimento e il folto gruppo di studenti che vi doveva partecipare, i discorsi, le raccomandazioni che il capo della missione fece a coloro che in Iraq non erano mai andati, su cosa fare e soprattutto sugli atteggiamenti da non assumere una volta sul luogo specie per l'abbigliamento femminile.
La situazione politica non era per nulla buona e noi tutti eravamo molto indecisi se andare o meno.
Il nostro "portavoce" comunicò le nostre perplessità al Direttore Prof. Gullini, che purtroppo ora non c'è più e che io ricordo con grande affetto e gratitudine per tutto quello che mi ha insegnato, e fu violentemente tacciato di codardia.
Partimmo comunque. La missione doveva durare 2 mesi e noi portammo nelle nostre valigie ,oltre ovviamente ai nostri effetti personali, anche materiali di studio, carte fotografiche , pellicole, sviluppi, una valanga di roba insomma.
Il numero degli studenti partecipanti alla missione fu ridotto a quattro, quattro belle ragazze che arrivarono a Bagdad quasi tutte con l'ombelico di fuori!!
Partimmo il 13 ottobre 2002 ed io festeggiai in viaggio il mio sessantesimo compleanno, senza uno straccio di torta, ahimè. Il viaggio d'andata fu fatto interamente in aereo, ad Amman proseguimmo per Bagdad con un costosissimo volo sull'Iraqi Airways e una volta arrivati a destinazione proseguimmo direttamente per lo scavo perchè nella residenza di Bagdad non c'era posto per tutti.
La sistemazione era buona anche perchè Paolo ed Enrico, rispettivamente capomissione e ottimo restauratore si erano prodigati per renderla tale.
Ricordo ancora che alloggiavo in una graziosa camera singola all'esterno della quale, sotto la mia finestra , dormiva e russava una guardia armata di moschetto per la sorveglianza notturna.
Le missioni di studio erano due: una si doveva occupare degli avori di Nimrud da studiare al museo di Bagdad e l'altra delle terrecotte da catalogare e schedare sugli scavi.
Dovendole documentare entrambi io dovevo dividermi tra Bagdad e lo scavo trascinandomi dietro le mie macchine fotografiche (allora non avevo ancora la mia adorata Canon).
I problemi al museo di Bagdad erano rappresentati dal fatto che ci davano i reperti da studiare col contagocce, se li davano, e non potevamo dire nulla. Alla fine scoprimmo che regalando ogni mattina un pacchetto di sigarette ad un vecchio magazziniere potevamo aggirare l'ostacolo.
I reperti erano tanti, tanti frammenti d'avorio decorati con incrostazioni sagomate di lapislazzuli, disegni vari, finemente incisi, una meraviglia! Era un lavoro bello, mi piaceva farlo e se potessi averne l'occasione lo farei ancora.
Ma il mio lavoro non finiva lì.
Una volta uscite dal museo, alla fine dell'orario e cioè verso le 14, le ragazze venivano riaccompagnate agli scavi mentre io venivo depositata all'Istituto Italo-Iraqueno dove sviluppavo e in seguito stampavo il frutto del mio lavoro del mattino. In quelle occasioni rimanevo a dormire nella residenza cittadina.
Ma il mio problema, almeno all'inzio era costituito dal dovere prendere un taxi e spiegare al conducente, che spesso non parlava altro che l'arabo, dove mi doveva portare.
A Bagdad non ci sono vie nè numeri sui portoni delle case ma quartieri è come se uno salisse su un taxi e dicesse al conducente: "Mi porti alla Crocetta o a Mirafiori".
E così mi ero scritta su un quadernino il nome del quartiere , oltre al numero telefonico di casa, non si sa mai, e avevo localizzato dei punti di riferimento, ad asempio un muro di recinzione o un ritratto di Saddam in modo da poter dare indicazioni precise al conducente.
Purtroppo i tassisti per non perdere la corsa dicevano di sapere qual'era il quartiere senza sapere assolutamente dove poterva trovarsi.
E così una sera beccai proprio uno di quelli.
Costui mi portò a dire il vero abbastanza vicino, ma prese una scorciatoia, girò prima insomma, ed io non riconobbi più i luoghi.
Avevo voglia a dirgli che doveva esserci una ritratto di Saddam sulla sinistra mentre lui mi rispondeva che era pieno di ritratti a sinistra e a destra.
Alla fine abbastanza seccato mi scaricò proprio così mi fece scendere e se ne andò.
Io non sapevo assolutamente dove mi trovavo e cominciava a fare buio.
Mi dissero che alla fine di quell'anno una missione di studio andò comunque in Irak per lo studio, appunto, e la catalogazione delle ceramiche e che queste, una volta studiate, catalogate e custodite nella memoria dei computers vennero poi sepolte in una buca sullo scavo e sopra essa fu fatto passare un trattore. I funzionari della soprintendenza iraquena non le volevano nei loro magazzini.
Nel 2002 fu organizzata una seconda missione di studio.
Ricordo ancora la riunione che si fece in Dipartimento e il folto gruppo di studenti che vi doveva partecipare, i discorsi, le raccomandazioni che il capo della missione fece a coloro che in Iraq non erano mai andati, su cosa fare e soprattutto sugli atteggiamenti da non assumere una volta sul luogo specie per l'abbigliamento femminile.
La situazione politica non era per nulla buona e noi tutti eravamo molto indecisi se andare o meno.
Il nostro "portavoce" comunicò le nostre perplessità al Direttore Prof. Gullini, che purtroppo ora non c'è più e che io ricordo con grande affetto e gratitudine per tutto quello che mi ha insegnato, e fu violentemente tacciato di codardia.
Partimmo comunque. La missione doveva durare 2 mesi e noi portammo nelle nostre valigie ,oltre ovviamente ai nostri effetti personali, anche materiali di studio, carte fotografiche , pellicole, sviluppi, una valanga di roba insomma.
Il numero degli studenti partecipanti alla missione fu ridotto a quattro, quattro belle ragazze che arrivarono a Bagdad quasi tutte con l'ombelico di fuori!!
Partimmo il 13 ottobre 2002 ed io festeggiai in viaggio il mio sessantesimo compleanno, senza uno straccio di torta, ahimè. Il viaggio d'andata fu fatto interamente in aereo, ad Amman proseguimmo per Bagdad con un costosissimo volo sull'Iraqi Airways e una volta arrivati a destinazione proseguimmo direttamente per lo scavo perchè nella residenza di Bagdad non c'era posto per tutti.
La sistemazione era buona anche perchè Paolo ed Enrico, rispettivamente capomissione e ottimo restauratore si erano prodigati per renderla tale.
Ricordo ancora che alloggiavo in una graziosa camera singola all'esterno della quale, sotto la mia finestra , dormiva e russava una guardia armata di moschetto per la sorveglianza notturna.
Le missioni di studio erano due: una si doveva occupare degli avori di Nimrud da studiare al museo di Bagdad e l'altra delle terrecotte da catalogare e schedare sugli scavi.
Dovendole documentare entrambi io dovevo dividermi tra Bagdad e lo scavo trascinandomi dietro le mie macchine fotografiche (allora non avevo ancora la mia adorata Canon).
I problemi al museo di Bagdad erano rappresentati dal fatto che ci davano i reperti da studiare col contagocce, se li davano, e non potevamo dire nulla. Alla fine scoprimmo che regalando ogni mattina un pacchetto di sigarette ad un vecchio magazziniere potevamo aggirare l'ostacolo.
I reperti erano tanti, tanti frammenti d'avorio decorati con incrostazioni sagomate di lapislazzuli, disegni vari, finemente incisi, una meraviglia! Era un lavoro bello, mi piaceva farlo e se potessi averne l'occasione lo farei ancora.
Ma il mio lavoro non finiva lì.
Una volta uscite dal museo, alla fine dell'orario e cioè verso le 14, le ragazze venivano riaccompagnate agli scavi mentre io venivo depositata all'Istituto Italo-Iraqueno dove sviluppavo e in seguito stampavo il frutto del mio lavoro del mattino. In quelle occasioni rimanevo a dormire nella residenza cittadina.
Ma il mio problema, almeno all'inzio era costituito dal dovere prendere un taxi e spiegare al conducente, che spesso non parlava altro che l'arabo, dove mi doveva portare.
A Bagdad non ci sono vie nè numeri sui portoni delle case ma quartieri è come se uno salisse su un taxi e dicesse al conducente: "Mi porti alla Crocetta o a Mirafiori".
E così mi ero scritta su un quadernino il nome del quartiere , oltre al numero telefonico di casa, non si sa mai, e avevo localizzato dei punti di riferimento, ad asempio un muro di recinzione o un ritratto di Saddam in modo da poter dare indicazioni precise al conducente.
Purtroppo i tassisti per non perdere la corsa dicevano di sapere qual'era il quartiere senza sapere assolutamente dove poterva trovarsi.
E così una sera beccai proprio uno di quelli.
Costui mi portò a dire il vero abbastanza vicino, ma prese una scorciatoia, girò prima insomma, ed io non riconobbi più i luoghi.
Avevo voglia a dirgli che doveva esserci una ritratto di Saddam sulla sinistra mentre lui mi rispondeva che era pieno di ritratti a sinistra e a destra.
Alla fine abbastanza seccato mi scaricò proprio così mi fece scendere e se ne andò.
Io non sapevo assolutamente dove mi trovavo e cominciava a fare buio.
3 commenti:
Ma non puoi finire così!! Io adesso voglio sapere assolutamente come prosegue la tua storia! Si vede che leggi romanzi thriller e gialli dalla mattina alla sera e sai dosare bene la suspence.
Allora a quando la prossima puntata?
Anche io voglio sapere come continua la storia!
Simone
Lovedd reading this thank you
Posta un commento