Desidero ricordare che ero stata appena scaricata da un taxi in una via sconosciuta di Bagdad e non sapevo dove andare.
Mi sentivo veramente come una povera tapina e la borsa in coi avevo le foto bagnate delle stampe fatte in Istituto e che, una volta a casa, avrei dovuto stendere per farle sciugare cominciava a pesare sempre di più.
Decisi di telefonare a casa, sperando che il nostro cuoco, Ghiliana, potesse aiutarmi.
Ricordavo infatti che egli mi aveva detto: "Every shop has telephone".
Entrai in ogni negozio che si affacciava sulla strada, facendo la fatidica domanda in arabo:" Tilifon aku? (C'è il telefono?) e la risposta fu invariabilmente: "Maku"(Non c'è).
Una sottile ansietta cominciò ad insinuarsi in me.
Scorsi allora alla fermata di un autobus due gruppetti, uno costituito da ragazzette in divisa scolastica (scamiciato nero e camicetta bianca) che, come avviene in tutto il mondo, ridacchiavano tra di loro mentra guardavano con grande interesse due ragazzi anche loro studenti.
Puntai senza tema verso gli studenti valutando le ragazze troppo stupide per darmi ascolto.
I due giovanotti stavano chiacchierando tra di loro, ma interruppero la loro conversazione quando mi avvicinai. Uno dei due, pur non capendo del tutto il mio inglese, fu convinto da me a cercare un posto telefonico per fortuna non distante, a telefonare a casa e, grazie alle i
nformazioni fornitegli da un ringhiante Ghiliana, fermò un taxi al cui autista disse dove portarmi.
Lo ringraziai veramente con calore e questi ritornò dall'amico con cui stava conversando.
Questi sono gli arabi! Gentili e disponibili.
Mi capitarono altri tipi di tassisti, come ad esempio uno che dopo mezz'ora di corsa, tanto ne occorreva per tornare a casa dall'Istituto, non volle pagarsi, ed un altro particolarmente ciarliero che mi disse che aveva lavorato con una compagnia a Milano e alla mia domanda che cosa gli era piaciuto di più, mi rispose senza tema:" The girls".
E poi mi chiese, sempre in inglese: " Ma voi cosa mangiate per essere così belli?"
I due mesi a Bagdad passarono velocente.
Lavoravo al museo quasi tutti i giorni e a forza di fotografare innumerevoli frammenti di avorio riuscii a finire la scorta delle pellicole.
Ma la città aveva delle risorse incredibili, vi si poteva veramente trovare di tutto; così potei trovare in un quartiere di negozi specializzati in materiale fotografico , quello che mi serviva.
Ebbi anche l'emozione di stampare le foto su della schifosa carta cinese.
Poi cominciai a fotografare le terrecotte sugli scavi e lì si presentarono altri problemi con la luce che andava e non veniva in quanto il generatore per partire aveva bisogno di gasolio e il personale che avevamo non voleva andarlo a chiedere alla famiglia che ce ne poteva dare in quanto c'era della ruggine. Ci vollero le vibrate proteste delle archeologhe per convincerli ad andare a chiedere il carburante.
Riuscii nonostante questo inconveniente ed altri ,come ad esempio le prese di corrente che non funzionavano, a fare tutte le riprese.
Sullo scavo comunque non si stava male, a parte il fatto che il cuoco era sporco e il frigo , a volte sembrava la tomba degli avanzi. Avevamo il telefono, impostoci dal nostro ambasciatore per la nostra sicurezza.
Potemmo fare quindi telefonate a Bagdad e fare e ricevere costosissime telefonate dall'Italia.
Mi tremano ancora i polsi al ricordo delle bollette Telecom che arrivarono per parecchio tempo.
Ci fu anche il lato godereccio della missione.
L'invito a cena sullo scavo da parte delle guardie che sorvegliavano il campo, con una cena servita per terra su una lunga tovaglia di palstica a cui seguirono canti da parte dei nostri ospiti e da parte nostra, mentre le loro donne, che avevano preparato la cena ci sbirciavano dall'esterno.
L'invito a casa dell'ambasciatore italiano.
L'invito a casa dell'ambasciatore greco dove tutti ballarono il sirtaki e dove una efficientissima governante, tra l'altro, leggeva i fondi di caffè.
L'invito a casa nostra dell'ambasciatore italiano scortato dai carabinieri che venivano da Kabul, a cui non sembrò vero di arrivare in un'oasi di pace (non immaginavano quello che sarebbe successo di lì a 5 mesi) e di trovare tante belle ragazze.
In quell'occosione ognuno di noi preparò un piatto particolare: Eleonora, la ragazza siciliana cucinò una pasta profumatissima. Paolo il nostro "capo"delle polpettine agrodolci, io preparai del ragù e il nostro cuoco preparò, ringhiando degli ottimi gnocchi.
C'era anche tra gli invitati l'ambasciatore tedesco, un gran signore che, a differenza del nostro che, quando veniva, portava soltanto se stesso, arrivò preceduto dal suo autista carico di beveraggi.
Ci furono i blitz nei vari suk dove comprammo tutto quello che era possibile comprare e stivare in valigia con contrattazioni lunghe ed estenuati. Ero sempre io che accompagnavo le ragazze che ,essendo palesemente straniere e molto graziose attiravano gli sguardi e non solo dei maschietti locali.
Il dinaro iraqueno era diventato ormai carta straccia.
Ai tempi delle missioni un dinaro valeva 3 dollari e con 350 dinari si poteva fare la paga settimanale degli operai degli scavi.
Ora un dinaro valeva una lira ed uscivamo dai negozi, dove si poteva fare il cambio, con sacchetti di plastica nera tipo quelli della spazzatura, ma più piccoli, pieni di banconote da 250 dinari l'una. Un'impresa solo a contarli.
Scoprimmo un negozio dove trovammo ceramiche locali dal caretteristico colore verde-azzurro e con deliziose scritte in arabo che credo sia la lingua scritta più bella, armoniosa e decorativa che esista e tutti ne comprammo in quantità industriali; andammo in un edificio dove venivano venduti all'asta tappeti persiani, guide curde che avremmo potuto acquistare veramente per poco: ancora oggi, credo parecchi di noi si mangiano le mani per non aver potuto comprare nulla
proprio per via del trasporto.
Per tornare al tema principale di queste puntate, tutti eravamo intenzionati , alla fine della missione , ad andare a Petra una volta giunti ad Amman.
Il nostro capo missione aveva portato con sè del denaro destinato ad almeno due o tre viaggi nascosti nella cintura del viaggiatore. Questa fu per me una rivelazione: era infatti una cintura di pelle normale ma, all'interno, si potevano nascondere dei denari grazie ad una cerniera lunga quanto la cintura stessa, che una volta aperta li poteva agevolmente contenere.
Alla fine nesuno ebbe più voglia di andare a visitare questa benedetta Petra, un pò perchè costava caro, un pò perchè aveva voglia di tornare a casa , quindi non se ne fece nulla.
Non potevo io da sola andarci: eravamo un gruppo e quindi in gruppo dovevamo tornare.
Mi sentivo veramente come una povera tapina e la borsa in coi avevo le foto bagnate delle stampe fatte in Istituto e che, una volta a casa, avrei dovuto stendere per farle sciugare cominciava a pesare sempre di più.
Decisi di telefonare a casa, sperando che il nostro cuoco, Ghiliana, potesse aiutarmi.
Ricordavo infatti che egli mi aveva detto: "Every shop has telephone".
Entrai in ogni negozio che si affacciava sulla strada, facendo la fatidica domanda in arabo:" Tilifon aku? (C'è il telefono?) e la risposta fu invariabilmente: "Maku"(Non c'è).
Una sottile ansietta cominciò ad insinuarsi in me.
Scorsi allora alla fermata di un autobus due gruppetti, uno costituito da ragazzette in divisa scolastica (scamiciato nero e camicetta bianca) che, come avviene in tutto il mondo, ridacchiavano tra di loro mentra guardavano con grande interesse due ragazzi anche loro studenti.
Puntai senza tema verso gli studenti valutando le ragazze troppo stupide per darmi ascolto.
I due giovanotti stavano chiacchierando tra di loro, ma interruppero la loro conversazione quando mi avvicinai. Uno dei due, pur non capendo del tutto il mio inglese, fu convinto da me a cercare un posto telefonico per fortuna non distante, a telefonare a casa e, grazie alle i
nformazioni fornitegli da un ringhiante Ghiliana, fermò un taxi al cui autista disse dove portarmi.
Lo ringraziai veramente con calore e questi ritornò dall'amico con cui stava conversando.
Questi sono gli arabi! Gentili e disponibili.
Mi capitarono altri tipi di tassisti, come ad esempio uno che dopo mezz'ora di corsa, tanto ne occorreva per tornare a casa dall'Istituto, non volle pagarsi, ed un altro particolarmente ciarliero che mi disse che aveva lavorato con una compagnia a Milano e alla mia domanda che cosa gli era piaciuto di più, mi rispose senza tema:" The girls".
E poi mi chiese, sempre in inglese: " Ma voi cosa mangiate per essere così belli?"
I due mesi a Bagdad passarono velocente.
Lavoravo al museo quasi tutti i giorni e a forza di fotografare innumerevoli frammenti di avorio riuscii a finire la scorta delle pellicole.
Ma la città aveva delle risorse incredibili, vi si poteva veramente trovare di tutto; così potei trovare in un quartiere di negozi specializzati in materiale fotografico , quello che mi serviva.
Ebbi anche l'emozione di stampare le foto su della schifosa carta cinese.
Poi cominciai a fotografare le terrecotte sugli scavi e lì si presentarono altri problemi con la luce che andava e non veniva in quanto il generatore per partire aveva bisogno di gasolio e il personale che avevamo non voleva andarlo a chiedere alla famiglia che ce ne poteva dare in quanto c'era della ruggine. Ci vollero le vibrate proteste delle archeologhe per convincerli ad andare a chiedere il carburante.
Riuscii nonostante questo inconveniente ed altri ,come ad esempio le prese di corrente che non funzionavano, a fare tutte le riprese.
Sullo scavo comunque non si stava male, a parte il fatto che il cuoco era sporco e il frigo , a volte sembrava la tomba degli avanzi. Avevamo il telefono, impostoci dal nostro ambasciatore per la nostra sicurezza.
Potemmo fare quindi telefonate a Bagdad e fare e ricevere costosissime telefonate dall'Italia.
Mi tremano ancora i polsi al ricordo delle bollette Telecom che arrivarono per parecchio tempo.
Ci fu anche il lato godereccio della missione.
L'invito a cena sullo scavo da parte delle guardie che sorvegliavano il campo, con una cena servita per terra su una lunga tovaglia di palstica a cui seguirono canti da parte dei nostri ospiti e da parte nostra, mentre le loro donne, che avevano preparato la cena ci sbirciavano dall'esterno.
L'invito a casa dell'ambasciatore italiano.
L'invito a casa dell'ambasciatore greco dove tutti ballarono il sirtaki e dove una efficientissima governante, tra l'altro, leggeva i fondi di caffè.
L'invito a casa nostra dell'ambasciatore italiano scortato dai carabinieri che venivano da Kabul, a cui non sembrò vero di arrivare in un'oasi di pace (non immaginavano quello che sarebbe successo di lì a 5 mesi) e di trovare tante belle ragazze.
In quell'occosione ognuno di noi preparò un piatto particolare: Eleonora, la ragazza siciliana cucinò una pasta profumatissima. Paolo il nostro "capo"delle polpettine agrodolci, io preparai del ragù e il nostro cuoco preparò, ringhiando degli ottimi gnocchi.
C'era anche tra gli invitati l'ambasciatore tedesco, un gran signore che, a differenza del nostro che, quando veniva, portava soltanto se stesso, arrivò preceduto dal suo autista carico di beveraggi.
Ci furono i blitz nei vari suk dove comprammo tutto quello che era possibile comprare e stivare in valigia con contrattazioni lunghe ed estenuati. Ero sempre io che accompagnavo le ragazze che ,essendo palesemente straniere e molto graziose attiravano gli sguardi e non solo dei maschietti locali.
Il dinaro iraqueno era diventato ormai carta straccia.
Ai tempi delle missioni un dinaro valeva 3 dollari e con 350 dinari si poteva fare la paga settimanale degli operai degli scavi.
Ora un dinaro valeva una lira ed uscivamo dai negozi, dove si poteva fare il cambio, con sacchetti di plastica nera tipo quelli della spazzatura, ma più piccoli, pieni di banconote da 250 dinari l'una. Un'impresa solo a contarli.
Scoprimmo un negozio dove trovammo ceramiche locali dal caretteristico colore verde-azzurro e con deliziose scritte in arabo che credo sia la lingua scritta più bella, armoniosa e decorativa che esista e tutti ne comprammo in quantità industriali; andammo in un edificio dove venivano venduti all'asta tappeti persiani, guide curde che avremmo potuto acquistare veramente per poco: ancora oggi, credo parecchi di noi si mangiano le mani per non aver potuto comprare nulla
proprio per via del trasporto.
Per tornare al tema principale di queste puntate, tutti eravamo intenzionati , alla fine della missione , ad andare a Petra una volta giunti ad Amman.
Il nostro capo missione aveva portato con sè del denaro destinato ad almeno due o tre viaggi nascosti nella cintura del viaggiatore. Questa fu per me una rivelazione: era infatti una cintura di pelle normale ma, all'interno, si potevano nascondere dei denari grazie ad una cerniera lunga quanto la cintura stessa, che una volta aperta li poteva agevolmente contenere.
Alla fine nesuno ebbe più voglia di andare a visitare questa benedetta Petra, un pò perchè costava caro, un pò perchè aveva voglia di tornare a casa , quindi non se ne fece nulla.
Non potevo io da sola andarci: eravamo un gruppo e quindi in gruppo dovevamo tornare.
E così avvenne.
4 commenti:
Mitica, questo è uno degli episodi più divertenti. Penso ancora a quelle guide curde...Sarebbero state benissimo nella mia nuova biblioteca :-)
Mi dispiace veramente per la mancata gita a Petra..scometto che tu ci saresti andata anche a piedi vero???
Le foto non rendono giustizia a certi posti... L'emozione di vederli di persona è troppo forte..
Being Simone
Una domanda al volo. Ma con Petra quanto mi manchi, intendi dire che a Petra andasti negli anni passati! Allora dato che muoio di curiosità, raccontaci com'era e come mai eri così bramosa si rivederla!
Anche a me l'episodio è piaciuto molto. Complimenti!
Petra mi manca inquanto pur essendo così vicina, mi è sfuggita tre volte, in quanto pur essendo andata in Giordania non sono riuscita ad andarci.
bellissimo! ma potresti provare la 4! vasuneddi
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