martedì 12 febbraio 2008

Petra,quanto mi manchi -parte terza-

Inizio febbraio 2005.
Per caso ero a Torino e stavo per rientrare a Luserna, ove abito, quando mi arriva una telefonata dal Centro Scavi.
Benedetto cellulare!!!!
Sfreccio come una scheggia fino all'altro capo della città, dove si trovava all'epoca il Centro Scavi, e qui ho un abboccamento con i responsabili della già avviata missione in Giordania che mi chiedono se sono interessata ad andare ad Amman per due settimane per fare riprese di materiale sequestrato al confine Iraqueno-Giordano.

Carponi ci sarei andata anche aggrappata al carrello dell'aereo: mi piace viaggiare, muovermi, anche per andare a lavorare, anche per fare dei tour de force.

Esattamente 8 giorni dopo ero sull'aereo in compagnia di Robertina, la mia "archeologa" con cui avrei dovuto lavorare e che avrebbe dovuto sopportarmi.

Ad Amman erano in corso due distinti progetti.

Il primo riguardava la formazione professionale di giovani restauratori in forza presso il gabinetto di restauro della Soprintenza iraquena, con la loro direttrice, ospitati ad Amman per ragioni di sicurezza, mentre il secondo consisteva nel fotografare, schedare e studiare dei reperti confiscati al confine con l'Iraq. Un Jordan B.R.I.L.A. insomma.

Dall'Italia erano arrivati esperti con l'incarico di curare la formazione di questi giovani a cui, credo, non sembrava vero l'essere ospitati in un contesto diverso da quello in cui, quotidianamente, erano costretti a vivere.

Le lezioni, pratiche e teoriche, erano tenute da restauratori provenienti da Roma e da Torino e supportate da interpreti in lingua araba.

Per quanto riguarda i reperti confiscati, una parte della documentazione fotografica era già stata eseguita, in digitale e in luce ambiente, mentre, per la pubblicazione c'era il bisogno di foto più professionali.
Ecco il motivo per cui mi trovavo ad Amman.

Ogni mattina ci recavamo presso un complesso di edifici che comprendevano sia i locali adibiti
a gabinetto di restauro e studio del materiale confiscato, sia i magazzini in cui erano conservati reperti archeologici di ogni genere genere, mirabilmente conservati.
Non posso dire di più in quanto non ho potuto vedere altro che non fosse inerente a ciò che dovevo fotografare.

Mi attendeva una grossa quantità di menete, circa 350, oltre a terrecotte , vetri, tavolette cuneiformi, da fotografare una per una, dritto e verso, e devo dire che l'inizio non fu dei più brillanti.
Avevo perso la mano a fotografare le monete, e la mia digitale aveva delle limitazioni in quanto non mi permetteva di avvicinarmi a più di 10 cm. Riuscii a fotografarle con varie prove, ma il risultato , anche a distanza di tempo non mi soddisfa ancora, anche se fu accettabile.

Mi ricordo che faceva un freddo terribile e non mancò nulla dal punto di vista metereologico.
Pioggia, vento e neve ci deliziarono per alcune mattine e, anche se cercavamo di scaldarci con alcune stufette, io lavoravo col cappotto.
Per fortuna, dopo qualche giorno mi trasferii con la mia attrezzatura nei locali dove avveniva lo studio dei reperti e la vista di lunghissimi termosifoni mi illuminò e rincuorò.

Sistemato il piano d'appoggio, il fondale, di solito azzurro, e le luci , mi accinsi a fotografare gli oggetti più interessanti che avessi mai visto, Vetri decorati, diversi da quelli che avevo fotografato a decine durante le missioni a Bagdad, caraffe ornate da incisioni recanti croci e figure di santi e sagomate in modo che ogni lato avesse una decorazione, una effigie diversa. Terrecotte che fotografai di fronte, lato destro, sinistro, retro e particolari del volto, quando mi sembrava che ne valesse la pena.
Mi sfrenai, insomma.
Se quelle figure avessero potuto respirare avrei fotografato anche le nuvolette di fumo uscite dalla bocca, senza contare il fatto che ero e sono convinta che l'archeologo , non potendo, in seguito, avere l'oggetto sottomano avrebbe pototo ricorrere alla focumentazione fotografica.
Ma...... con la schedatura computerizzata il lavoro risultava più lungo e complesso.
Mi capitò anche un incidente di percorso, infatti un pinax, cioè una piccola tavoletta votiva, fortunatamente una copia, cadde per terra mentre la fotografavo.
Fu prontamente restaurata e, comunque, il direttore del magazzino ne fu informato.

Ci recavamo al lavoro al mattino verso le 9 e rimanevamo fino alle 15, mi pare, grazie alla gentile concessione del direttore stesso che ci permetteva di lavorare oltre al normale orario d'ufficio.
Per quanto riguarda il pranzo ci portavamo dello yogurt e della marmellata Hero che avevo trovato nel supermercato dietro all'albergo. Poi qualcuno di noi andava ad acquistare delle deliziose focacce che tagliavamo a spicchi e il tutto spariva in un baleno.
Come diceva Robertina, con quel tipo di pranzo non sarebbe stato difficile dimagrire.

Finito il lavoro, spesso, prima di tornare in albergo facevamo delle puntate presso i negozi che ci erano stati suggeriti da un'altra archeologa che ad Amman ci viveva e che ci forniva indicazioni, mappe e tutte le delucidazioni necessarie, quando non poteva accompagnarci di persona (grazie ancora, Ali ( che sta per Alessandra).
Amman, che è a 900 metri, e questo poteva far comprendere perchè, pur essendo in paese mediorientale facesse così freddo, non mi piaceva molto probabilmente perchè non la conoscevo.

Non mi piaceva perchè forse non c'erano i suq?
Negozietti carini e cari ce ne erano però, ed io riuscii comunque a portare a casa parecchie cose interessanti per la gioia di parenti ed amici. Qui sotto ce n'è un esempio.
Avrei voluto comprare tutto anche perchè era talmente ben struttarato e tutto era cosi ben esposto che invitava allo shopping più sfrenato!!

L'albergo era veramente confortevole.
Ognuno di noi aveva a disposizione una suite e, gioia delle gioie, un televisore che trasmetteva Rai 3. La domenica però era una rottura in quanto quell'unico canale trasmette una marea di sport,ma
avevamo però la consolazione di sapere cosa accadeva in Italia e anche all'estero e, giusto il 14 febbraio, seppi dell'uccsione di Rafik Ariri, l'inizio dei guai per il Libano.
Mammazan cucinava anche lì per sè, per Robertina e per Enrico, il nostro resturatore. Ci riunivamo tutti da me: una pasta c'era sempre , della verdura anche e tutto quello che il supermercato dietro all'albergo poteva offrire.
Ad onor del vero Robertina si offriva di lavare sempre i piatti.

Devo descrivervi la "mia Archeologa".
Ma lo farò la prossima volta.









2 commenti:

Vale ha detto...

Grande mamma I tuoi racconti sono sempre molto coloriti. Hai ildono di far sentire il tuo lettore parte della scena. Non manca mai la puntatina ai suq o ai negozi! E complimenti anche per l'inserimento delle tue "foto d'archivio".
Ormai sei una reporter!

marcella candido cianchetti ha detto...

ho divorato post grazie